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Data: 02/08/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Sud tra decrescita e fuga più rischi con l'autonomia»

ROMA Il Mezzogiorno, abbandonato a se stesso, si svuota, si impoverisce, arretra sempre più nei confronti delle Regioni del Nord e dell'Europa. Che sembra sempre più distante. Mentre nel governo si discute e si litiga sull'autonomia differenziata, sul progetto spacca-Italia, per cui chi è ricco si vuol separare da chi ricco non è, la Svimez ha messo a nudo, in una cruda fotografia, lo stato del Meridione. Il primo sintomo della malattia del Mezzogiorno, è lo svuotamento, l'emigrazione che è diventata fenomeno di massa come nel dopoguerra. Negli ultimi quindici anni hanno fatto le valige e sono andati via oltre due milioni di persone. Nel solo 2017 hanno lasciato il Sud 132 mila meridionali. Più del 60% sono giovani, un terzo dei quali laureati. Persone sostituite solo in parte da nuovi arrivati, dagli immigrati, tutti con basse competenze. In tanti se ne vanno, qualcuno arriva, ma se ne vanno i più istruiti e quelli che arrivano non sono in gradi di sostituirli. Il saldo migratorio al netto dei rientri è stato negli ultimi quindici anni negativo per 852 mila persone. È come se fosse scomparsa dalle cartine una metropoli come Napoli. «La ripresa dei flussi migratori», scrive la Svimez, «rappresenta la vera emergenza meridionale». Ma tutto peggiora, arretra. Per la prima volta nella storia repubblicana, è stato registrato un peggioramento dei dati sull'abbandono scolastico. Il numero di giovani che, conseguita la licenza media, resta fuori dal sistema di istruzione e formazione professionale, ha raggiunto nel Sud il 18,8%, con punte del 20% in Calabria, Sicilia e Sardegna. Nemmeno un edificio scolastico su tre (il 28,4% per l'esattezza), ha il certificato di agibilità o di abitabilità nel Mezzogiorno. Nel comparto c'è un divario nell'offerta di posti letto ospedalieri per abitante: 28,2 posti letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti al Sud, contro 33,7 al Centro-Nord. Il Settentrione, nonostante la retorica, continua a ricevere più risorse del Mezzogiorno. Nel 2018 sono stati investiti in opere pubbliche 102 euro pro capite nel Sud, mentre nel Centro Nord si arriva a 278 euro. Nel 1970, ricorda la Svimez, gli investimenti pubblici erano rispettivamente 677 euro nel Mezzogiorno e 452 euro pro capite nel resto d'Italia. Va attuata subito, è la conclusione del rapporto, la perequazione infrastrutturale che prevede che almeno il 34% degli investimenti infrastrutturali sia destinata al Sud. E come se tutto questo non bastasse, sul Meridione incombe lo spettro di una nuova recessione.
I RISCHI
Nel 2019, dice ancora la Svimez, il Pil del mezzogiorno calerà dello 0,3% mentre il resto del Paese crescerà dello 0,3% aumentando la divaricazione che, «all'interno di un paese fermo porta il Mezzogiorno in recessione». E se dovessero scattare le clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva dal prossimo anno, sarebbe ancora una volta il Mezzogiorno a pagarne il prezzo più alto: meno 0,41 punti in termini di crescita, contro i meno 0,3 del Nord. Aumenta anche il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord. Nel 2018 «è stato pari a 2 milioni 918 mila persone, al netto delle forze armate». La soluzione non può essere l'autonomia differenziata. No, dice la Svimez, a soluzioni «per parti» che contengono i germi della contrapposizione territoriale e favoriscono gli opposti rivendicazionismi. A fronte dei dati diffusi sul Mezzogiorno, ha detto il leader della Cgil Maurizio Landini, «progetti come l'autonomia differenziata, che puntano ancora di più ad aprire divari sociali e territoriali, vanno respinti con decisione». Di scenario «molto preoccupante», ha parlato la segretaria della Cisl Annamaria Furlan. Carmelo Barbagallo della Uil, ha sottolineato «l'assenza di politiche di sviluppo». Mentre Paolo Capone dell'Ugl ha chiesto al governo «nuovi investimenti».

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