ROMA Oggi, in Senato, andrà in scena la dimostrazione plastica dell'incompatibilità e incomunicabilità tra 5Stelle e Lega. Nella stessa Aula entrerà Matteo Salvini per dire sì alla Tav, votando le mozioni di Pd, FI, Fratelli d'Italia e +Europa. E ci sarà anche il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli che accorrerà per dire no all'Alta velocità. Quella Torino-Lione che un paio di settimane fa il premier Giuseppe Conte ha definitivamente sdoganato. Parole di Salvini: «Toninelli non è all'altezza di gestire le infrastrutture di un Paese come l'Italia». E oggi probabilmente ne chiederà ufficialmente la testa.
Il leader della Lega sembra divertirsi a tenere alta la tensione e a minacciare Luigi Di Maio di spedirlo a elezioni anticipate. Verso sera da Arcore, mentre è riunito a Roma il Consiglio dei ministri, rilancia la minaccia: «Se ci saranno le elezioni? Lo vedremo a breve. A settembre? No, anche prima...». Immediata la risposta dei 5Stelle: «Mentre il governo è riunito per approvare decreti importanti che daranno sostegno a imprese e lavoratori, il ministro fa comizi ad Arcore. E' assurdo».
In serata tenta di gettare acqua sul fuoco il premier Conte che frena le tentazioni leghiste di aprire un caso e sostenere la tesi secondo cui la mozione no-Tav che il M5s si appresta a votare sarebbe una sfiducia nei suoi confronti: «La votazione sulla mozione-Tav in programma domani al Senato - afferma palazzo Chigi - non prefigura in alcun modo un sindacato sull'operato del governo né tantomeno sull'operato del presidente del Consiglio».
Tant'è ma nel Pd c'è chi, come Carlo Calenda, che punta alla crisi dei giallo-verdi, corre a proporre di non votare contro la mozione dei 5Stelle ritrovandosi d'accordo con Benedetto Della Vedova. Ma Di Maio garantisce: «La mozione impegna il Parlamento, non il governo. Non vedo cosa c'entri l'esecutivo». Non la pensa così la vicesegretaria del Pd, Paola de Micheli: «Conte non può fare lo struzzo, se il governo non dovesse esprimersi in Aula ci sarà solo una cosa da fare un minuto dopo il voto della mozione di Di Maio: recarsi al Colle» per dimettersi.
Di certo, c'è che in Senato il partito più forte è quello contro le urne. Così, con ogni probabilità, oggi verrà bocciata la mozione grillina con il contributo di Lega, Forza Italia, Pd, Fdi, +Europa, etc. E verranno approvati i documenti pro-Tav dei quattro partiti d'opposizione. «Voteremo qualsiasi mozione che sostenga le infrastrutture», assicura Salvini e conferma il capogruppo leghista Massimiliano Romeo. Per le 9 è convocata la seduta del Senato per esaminare le sei mozioni, dopo l'annuncio di Conte di proseguire con i lavori lasciando comunque al Parlamento l'ultima parola.
IL TESTO GRILLINO
Un'intenzione che i 5Stelle non hanno lasciato in sospeso, presentando un documento che «delibera di avviare, in sede parlamentare, un percorso immediato volto a promuovere l'adozione di atti che determinino la cessazione delle attività relative al progetto per la realizzazione» della Tav. Ma la mozione non ha placato l'ira dei No-Tav: «E' una presa per i fondelli».
IL FRONTE OPPOSTO
Contro il testo 5Stelle, almeno questa è la linea prevalente, voteranno Pd, Forza Italia, Fdi, +Europa che dovrebbero essere quindi regolarmente presenti in Aula, dopo che nelle ultime ore si era parlato di un possibile forfait delle opposizioni per far deflagrare le contraddizioni all'interno della maggioranza.
A favore della mozione 5Stelle dovrebbero votare anche senatori di altri gruppi, come Tommaso Cerno del Pd, Loredana De Petris di Leu, prima firmataria di una mozione che impegna il governo «a non procedere alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione e finanziare il trasporto pubblico». Un documento che ha raccolto le firme anche di Maurizio Buccarella, Paola Nugnes, Saverio De Bonis, Carlo Martelli e Francesco Laforgia. In pratica quindi ai 107 voti M5S se ne potrebbero sommare altri sette, arrivando così a 114. Troppo pochi comunque per sostenere il confronto dei voti di Lega, Pd, Fdi che sulla carta contano su circa 130 senatori, cui probabilmente si aggiungeranno Emma Bonino, prima firmataria di una sua mozione, sottoscritta anche da Riccardo Nencini, Pier Ferdinando Casini e Mario Monti.
Toninelli sotto assedio tra palestra e tutor: grazie ai miei no si farà a condizioni migliori
ROMA «Non sono interessato alle poltrone», dice Danilo Toninelli appena (ovvero tutti i giorni con cadenza ore pasti) Matteo Salvini lo accusa di essere «inadeguato». E quindi oggi dopo il voto sulla Tav si dimetterà in uno slancio di coerenza? Macché. Adesso, dice la sua agenda, deve sbloccare la Ragusa-Catania, poi ci sarà l'anniversario del Ponte Morandi. Con quella che considera la sfida della vita: revocare la concessione ad Autostrade.
Di sicuro, questa mattina sarà una giornata campale per Toninelli. E lui la inizierà lavorando al suo tunnel preferito: è non quello dell'Alta Velocità. Bensì, il tunnel carpale: prima del Senato è atteso dalla solita sessione di bilanciere e addominali nella nuova palestra che frequenta (causa presunta truffa dei titolari è stato costretto a traslocare da piazza Fiume a zona Villa Borghese). Dicono i suoi amici al ministero dei Trasporti: «La palestra gli fa benissimo, lo mette di buon umore». Meno male. Perché sudate le proverbiali sette camicie, dalle 11 toccherà all'ottava a Palazzo Madama: Toninelli si dovrebbe sedere tra i banchi dei senatori (qual è) e non tra quelli del governo. Per evitare una frattura plastica nell'esecutivo, già abbastanza evidente Ma insomma possibile che non si senta in difetto o di troppo o a fine corsa? D'altronde la sua ragione d'essere in quanto grillino che si occupa di infrastrutture è venuta meno: la Tav si farà. Ma la risposta alle precedenti domande è «no». Ovvero: va avanti come un treno.
LA DIFESA
Il suo pensiero a proposito è un po' arzigogolato. E suona così. Va seguito, certo, con attenzione: l'Alta velocità si può bloccare in Parlamento, e questo faremo con la mozione, come ministro rispetto la decisione del premier, anche se la relazione sui costi-benefici da me commissionata diceva il contrario, ma io mi fermo qui perché è un'infrastruttura internazionale e non solo italiana.
E dunque ci sarà questo sdoppiamento: con Toninelli che dovrebbe votare contro l'iniziativa presa dal suo presidente. Ma forse potrebbe uscire dall'Aula. In queste ore il ministro fa un altro tipo di ragionamento con i fedelissimi: «Se si farà la Tav a condizioni non remissive per l'Italia il merito è mio e dunque del M5S che, essendo sempre stato contrario all'opera, ha fatto alzare il contributo promesso dalla Ue mettendo Conte in condizione di non poter dire no».
In poche parole, sotto sotto, il merito della peggiore Waterloo dei grillini è dei grillini stessi. Strano a dirsi, ma tant'è. D'altronde queste sono ore difficili per tutti. Specie per lui. Ma il ministro tira fuori i muscoli anche contro Salvini: i suoi attacchi mi rafforzano, dice sempre. Tanto che lunedì a Milano erano fianco a fianco e il pentastellato ha deciso di sfidarlo: «L'inno di Mameli l'avrei cantato, ma c'è qualcuno che non sapeva il testo», ha risposto a chi gli chiedeva della performance del leader leghista al Papeete. Il leader della Lega gli ha ribadito con un concetto vagamente crociano: «Niente di personale, ma per fare il ministro non basta essere brave di persone».
Il problema è che Toninelli in questa fase è abbastanza inviso nel M5S. Unisce i critici («Non ha saputo bloccare la Tav») e i governisti di Di Maio: «Quando parla Danilo perdiamo voti? Non posso rispondere...», disse una volta in radio, ridendo, il potente sottosegretario Stefano Buffagni (segui rettifica sulla risata, ma è tutto sul web). Un pensiero un po' condiviso. Solo che in questa fase Di Maio non lo tocca: non può farlo in quanto è tutto molto precario e poi, si sa, deve essere Salvini a chiedere il rimpasto. «E solo in quel momento - è il pensiero del Capo politico - semmai apriremo una riflessione».
Ma la verità è che Toninelli non ha la minima intenzione di fare un passo indietro. Né di lato. La penultima volta che è andato a Genova, sempre per la vicenda ponte Morandi, ha avuto il modo di incontrare Beppe Grillo. Che da tempo lo ha preso in simpatia: «Tony Nelly sulla Tav ha fatto il possibile». Quindi perché accanirsi? Di sicuro c'è questo problema delle gaffe che lo perseguitano. Ecco perché accetta solo interviste con domande via mail ed evita di parlare a braccio. Ma se capita tutti incrociano le dita (una volta fece l'elogio dell'auto elettrica, confessando di possedere un Suv diesel, un'altra fece confusione sul tunnel del Brennero e via così). Negli ultimi tempi ha assunto un altro professionista affinché gli curi i social. Per non lasciare nulla al caso. Nemmeno la poltrona.