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Data: 07/08/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Manovra, Salvini sfida Tria e attacca i grillini sul Reddito. Il vicepremier: «Serve coraggio, dico no al gioco delle tre carte. Il deficit non può stare sotto il 2%». L’affondo: «Il sussidio toglie manodopera» Promessa l’eliminazione della Tasi sulla casa. Il piano del Carroccio sul bonus 80 euro cambia nome e diventa una detrazione

ROMA Assicura: «Questo non è un tavolo parallelo a quello di Palazzo Chigi. Non c'è nessuna sovrapposizione». Ma in realtà, al suo tavolo, le 45 sigle convocate in rappresentanza delle parti sociali, hanno sentito elencare una serie di misure degne di una vera e propria contromanovra. Fatta anche «in deficit», perché è «impensabile fare una manovra coraggiosa a costo zero», a meno di non voler fare «il gioco delle tre carte». È un Salvini d'attacco, quello che ieri ha ricevuto le parti sociali al Viminale, il giorno dopo il tavolo ufficiale del premier Conte a Palazzo Chigi. Un Salvini che sfida Conte, ma soprattutto il ministro dell'Economia Giovanni Tria. E anche l'alleato Di Maio. Un Salvini nella sua forma più smagliante anche contro l'Europa, alla quale - dice - «chiederemo più flessibilità». Un Salvini che continua a tenere una scarpa dentro e una fuori al governo, con le sue nemmeno tanto velate minacce di far cadere tutto: «Elezioni anticipate? Lo vedremo a breve, anche prima di settembre».
Sindacati e rappresentanti di organizzazioni datoriali, cooperative e alleanze varie, se lo sono sentiti chiarire subito: «La mia manovra evidentemente è molto diversa da quella del ministro Tria. È il tempo delle decisioni, non del tirare a campare. Se vuoi fare una manovra coraggiosa non la fai a costo zero, altrimenti sei mago Merlino». E ancora: «Chiunque parli di manovra come gioco delle tre carte non fa parte del nostro progetto d'Italia. Non vogliamo una manovra dove metto dieci miliardi da una parte, togliendoli dall'altra». Al suo fianco i fedelissimi Giorgetti, Bongiorno, Garavaglia, Centinaio, Bussetti, Durigon e anche il contestato ex sottosegretario Siri, annuiscono. Tre gli obiettivi che la manovra Salvini si prefigge: più investimenti, più opere pubbliche, taglio delle tasse. Dove prendere i soldi? «Ridiscuteremo i vincoli europei» dice convinto, dimenticando che il governo in un recente passato ha dovuto ben presto rinunciare allo stesso ambizioso proposito. Ma tant'è. «I dogmi di Bruxelles non sono sacri. Sono pronto ad andare a contrattare la flessibilità necessaria con lEuropa per spendere su questi obiettivi» ribadisce, anche se non si capisce con quale ruolo, visto che in genere tocca al ministro dell'Economia e al premier. A ogni modo, chiarisce Salvini, l'Italia «di certo non può stare sotto il 2% di deficit».
IL MENÙ
Il menù delle misure della sua manovra, d'altronde è ricco di portate: c'è la flat tax, come noto, anche se ieri Salvini - di fronte a Confindustria e i sindacati che gli hanno fatto notare l'importanza del taglio sul costo del lavoro - ha aperto ad altre possibilità. «A noi interessa che un bel pò di gente paghi meno tasse. Poi non sono innamorato delle formule: se si chiama flat tax, se si chiama taglio del cuneo, se si chiama aumento delle detrazioni o detassazione dei premi di produttività a singoli e non a livello aziendale, questo lo valutano i nostri esperti». Naturalmente c'è da evitare l'aumento dell'Iva. Ma c'è anche il capitolo tasse sulla casa: «Lavoriamo per l'eliminazione della Tasi che cuba un miliardo e per una riorganizzazione completa della tassazione sulla casa», che comprende anche l'abolizione dell''Imu sugli immobili inagibili, sfitti o occupati abusivamente. Tra gli «interventi che non possono aspettare», Salvini cita poi «2,5 mld per le scuole, o per i ponti». Sulle risorse occorrenti per il tutto, il vicepremier non si pronuncia. Dice qualcosa di più il viceministro Garavaglia: «Pensiamo a 10-15 miliardi di riduzione tasse. A partire dal superamento del bonus Renzi. Per superamento si intende la trasformazione in decontribuzione». Non mancano le frecciatine all'alleato Cinquestelle. Il salario minimo? «Abbiamo registrato un no unanime da tutte le sigle presenti al tavolo. È una misura da regime socialista» riferisce Salvini. Anche il reddito di cittadinanza entra nel mirino del capitano: «In alcuni casi la mancanza di manodopera qualificata è stata attribuita all'introduzione del Reddito di cittadinanza, perché sarebbe più comodo non fare che fare». E infine il decreto Dignità: «Tutte le sigle hanno mosso rilievi al decreto Dignità. Su questo ci facciamo carico di chiedere delle modifiche».

Il piano del Carroccio sul bonus 80 euro cambia nome e diventa una detrazione

ROMA Lo chiameremo Bonus 90 euro. O forse addirittura 100. E di sicuro, in futuro, varrà anche per rimpolpare la pensione. Governo al lavoro per mandare in soffitta gli 80 euro di Renzi, la mossa che consentì all'ex premier di sfondare alle Europee 2014 proiettando i democratici verso quota 40%. Il meccanismo, così com'è, al ministro dell'economia, Giovanni Tria, non è mai piaciuto. «Tecnicamente ha spiegato il ministro in più di una circostanza quella di Renzi è stata una decisione sbagliata, dal momento che gli 80 euro risultano come spese e non come un vero e proprio sconto fiscale». Parole che preannunciavano la voglia di cambiamento. E ieri, il braccio destro di Tria in via XX Settembre, ha esplicitato formalmente le intenzioni dell'esecutivo. «Pensiamo a 10-15 miliardi di riduzione delle tasse ha detto il viceministro, Massimo Garavaglia, - a partire dal superamento del bonus Renzi che non vale dal punto di vista dell'accumulo contributivo per la pensione». Per superamento, ha precisato l'esponente leghista, si intende la trasformazione in decontribuzione. Elemento che apre ad uno scenario del tutto inedito. Tanto per cominciare, Palazzo Chigi punta a cancellare l'impostazione attuale, che prevede la semplice erogazione di denaro in busta paga da parte del sostituto d'imposta (fino un massimo di 960 euro a quota 24.500 di reddito), trasformando il meccanismo, con ogni probabilità, in una detrazione fiscale.
L'OPERAZIONE
L'operazione rientrerebbe nel quadro della riforma delle Tax expenditures sulla quale è impegnata una task force del Tesoro. E dal cui disboscamento, tra l'altro, si prefigurano 2 miliardi di risparmi utili per comporre la legge di Bilancio. Tra gli obiettivi, tra l'altro, ci sarebbe anche quello di aumentare il peso del bonus. Il quale, appunto, rientrando nel recinto fiscale, entrerebbe nel montante contributivo producendo effetti positivi sulla futura pensione. Il problema è che la nuova architettura avrebbe un senso solo a patto che il rimescolamento delle aliquote Irpef possa garantire un vantaggio fiscale ed economico superiore ai 960 euro annuali riconosciuti sul salario a 11 milioni di contribuenti. In poche parole, il governo deve trovare risorse aggiuntive rispetto ai 9,7 miliardi messi a copertura dell'attuale Bonus da 80 euro. Quante risorse? Impossibile dare una risposta, in questo momento. Ma comunque non meno di 4 miliardi. Occorre ricordare che il Bonus è già stato oggetto di modifiche in passato. Entrato in vigore nell'aprile 2014 a beneficio dei dipendenti con un reddito tra gli 8 e i 26 mila euro l'anno (con un decalage fino a zero per i redditi che vanno da 24.000 a 26.000 euro), la misura è poi diventata strutturale con la legge di stabilità 2015. Ma, tre anni dopo, il governo Gentiloni ha deciso di ampliare la platea dei beneficiari alzando il tetto del reddito da 24mila a 24.600 euro, e da 26mila a 26.600 euro. Una soluzione, quest'ultima, che ha consentito ai lavoratori statali prima esclusi di rientrare nella soglia. Ma che non ha permesso di superare uno dei problemi burocraticamente più fastidiosi: quello delle porte girevoli. Vale a dire l'obbligo di restituzione a carico di chi, per effetto dell'aumento del reddito, ha dovuto restituire gli 80 euro. Si tratta di quasi 2 milioni di contribuenti e, dichiarazioni alla mano, nel 2018, hanno dovuto restituire 385 milioni di euro.

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