ROMA Quasi quasi gli ex lumbard ci sperano. La nascita di un fronte anti-Lega che appoggi in qualche modo un governo di transizione oppure tenga in vita quello attuale «per noi sarebbe un assist meraviglioso», la tesi. Salvini si è convinto che in Parlamento si stia agitando il «partito della sopravvivenza». Che M5S e Pd faranno di tutto per evitare di andare alle elezioni anticipate. «Vogliono portarci alla prossima primavera, ma non ci riusciranno», ha detto ai suoi. Contro un eventuale tentativo di ribaltone il segretario della Lega è pronto alla mobilitazione. A scendere in piazza.
«Sarebbe una vera e propria rivoluzione», il grido di battaglia. E intanto ha convocato i parlamentari per lunedì prossimo alle 18, due ore dopo la conferenza dei capigruppo del Senato che dovrà decidere sulla mozione contro il premier Conte depositata ieri dal partito di via Bellerio. «Conte questo il ragionamento farà di tutto per tenersi la poltrona». Nel mirino del responsabile del Viminale finiscono pentastellati e dem. I primi insistono con il taglio del numero dei parlamentari, i secondi chiedono di calendarizzare prima la mozione contro il ministro dell'Interno e che Mattarella vari un governo di transizione senza Salvini, Di Maio e Conte.
Sarà proprio il Capitano a parlare in Aula, a dire che non era possibile mandare avanti l'alleanza gialloverde. E a stoppare ogni forma di «inciucio»: «Sento delle cose incredibili. Avverto in queste ore gli stessi toni da parte di M5S e Pd, di Di Maio e Renzi. Non vorrei stessero preparando qualche governo strano: sarebbe una truffa, un insulto alla democrazia». Salvini nei suoi comizi in giro per l'Italia va chiedendo «pieni poteri». E piano piano sta già illustrando quale sarà il suo programma. Stop alla riforma della prescrizione, sì ad una vera riforma della Giustizia, «non viviamo in una repubblica giudiziaria». E poi c'è l'agenda economica. «Dovrà essere l'esecutivo che esce dalle urne a varare la legge di bilancio», ha tuonato, «l'obiettivo è arrivare al 15% di tasse per tanti italiani. E se l'Europa ce lo fa fare, bene; altrimenti lo facciamo lo stesso».
PROCLAMI DI GUERRA
Proclami di guerra. Il leitmotiv è sempre lo stesso: «Chi perde tempo vuole solo salvare la poltrona. No governi tecnici o di minoranza. No giochini di palazzo. L'Italia dei sì non aspetta». E sul suo ruolo prende tempo: «Dimettermi da ministro se mi candido premier? Una cosa alla volta. Intanto assicuriamoci le urne. In Italia non c'è nulla di scontato».
Il vicepremier già sta preparando la campagna elettorale. La strategia è quella di andare da soli, ma tra gli ex lumbard non si esclude affatto che si possa trovare alla fine un accordo con l'alleanza Fdi-Toti. E neanche con una FI deberlusconizzata, qualora non fosse guidata dalla Carfagna. L'obiettivo è avere una maggioranza forte. Anche perché nel 2022 si vota per la successione a Mattarella. E il candidato numero uno ammette un big di via Bellerio è quel Giancarlo Giorgetti che ieri, parlando con i suoi, si godeva la scena dalle sue montagne: «Abbiamo fatto bene. A settembre M5S voleva prepararci il trappolone, ora scompariranno. E se in Parlamento puntano ad un governo tecnico vorrà dire che arriveremo al 60% dei consensi».
Zingaretti: votare. I dubbi di Renzi che pensa alla scissione a settembre
ROMA Niente alibi. «Anzi, Matteo Renzi deve aiutarci a vincere: è una risorsa». Nicola Zingaretti continua a blandire l'ex premier. Anche se i due non si parlano da due mesi, il segretario del Pd non vuole offrire il fianco a una scissione che è nell'aria. La prima mossa di Renzi sarà anticipare la Leopolda al 13-15 settembre. E dall'ex stazione ferroviaria di Firenze potrebbe partire il nuovo treno politico dell'ex rottamatore. L'operazione, visti i tempi ridotti in caso di voto a ottobre, è azzardata. «Anche perché - spiegano i parlamentari zingarettiani - non essendoci pretesti l'unica scusa sarebbe quella delle poltrone». Questa volta infatti le liste elettorali saranno firmate da Zingaretti e rispetteranno gli equilibri dell'assemblea. Ergo: comunque vada il nuovo gruppo parlamentare sarà molto diverso da quello attuale, a forte trazione renziana. Sempre in queste ore, inoltre, nella pancia del Nazareno si registrano altri movimenti. L'ala che fa capo alla mozione di Maurizio Martina non ha intenzione di seguire la strada della scissione.
E su questa linea si stanno spostando anche Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Rimane però la pattuglia degli irriducibili del nuovo soggetto politico: da Roberto Giachetti a Luciano Nobili, passando per Ivan Scalfarotto ed Ettore Rosato, solo per citare i nomi più in vista, oltre a quello di Maria Elena Boschi. Zingaretti ha presente il quadro e in queste ore per stanare i contatti dei renziani con i grillini («Un'operazione ordita da chi sa che non sarà ricandidato», è il mood della segreteria del Pd) continua a ripetere: «Mai con il M5S, bisogna andare subito al voto».
Dunque, nessuna ipotesi di governo tecnico o di scopo. Anche perché, è il ragionamento di Zingaretti, in questo modo il Pd farebbe solo un regalo a Salvini sterilizzando l'aumento dell'Iva, trovando magari un accordo per il commissario Ue. Insomma, salterebbe così la narrazione della campagna elettorale dem che si può sintetizzare con «è tutta colpa di Salvini».
LA MOBILITAZIONE
Zingaretti in questa fase gioca a tutto campo: vuole tenere unito il partito, forte degli ultimi sondaggi che danno il Pd al 25,5%. Ma qualsiasi strategia non può prescindere da Matteo Renzi e cioè dall'obiettivo di disinnescare la sua uscita dal partito. D'altronde anche l'altra sera l'ex premier durante un comizio è tornato a dire che dalle sue parti «continuano ad attaccare il Matteo sbagliato».
La prima pietra d'inciampo potrebbe però essere rappresentata dallo schema di gioco che ha in mente il segretario Pd. Ovvero le alleanze. Zingaretti per conformazione politica (la sua piattaforma alle primarie si chiamava Piazza grande) punta a una coalizione che vada dal centro alla sinistra-sinistra (ammesso che ci stia).
Allo stesso tempo la carta che ha intenzione di giocarsi è quella del partito dei sindaci. Schierare in prima linea gli amministratori delle città, magari senza candidarli. In questo scenario Beppe Sala, primo cittadino di Milano, avrà sicuramente un ruolo. Discorso diverso, infine, la partita del candidato premier. Lo statuto del Pd, modificato proprio con il nuovo corso, toglie l'automatismo che il segretario debba essere anche l'aspirante inquilino di Palazzo Chigi. Ecco perché Zingaretti potrebbe passare la mano ad altri. Tra questi si fanno i nomi di Paolo Gentiloni, ma anche di Carlo Calenda, neo europarlamentare. Se i tempi lo permetteranno saranno i gazebo a scegliere il frontman. Un modo per arrivare a una forte mobilitazione a ridosso del voto.
In tutto questo puzzle, a cui ancora mancano pezzi, c'è un altro aspetto. E riguarda Zingaretti, in versione però governatore del Lazio. «Nicola si candiderà in Parlamento e poi si dimetterà da presidente di regione», trapela dai suoi deputati più vicini. Con il Lazio dunque che potrebbe tornare alle urne la prossima primavera.