ROMA La revoca della concessione autostradale affidata ad Aspi era e rimane una missione di quelle impossibili. Un dossier che, al di là delle linea dura del fronte Di Maio-Toninelli, soltanto una sentenza della Corte di Cassazione che fotografasse chiaramente le responsabilità di Autostrade per il crollo del Ponte Morandi poteva attivare. Forse lo sapeva anche il vicepremier Luigi Di Maio in fondo, ma sventolare la cancellazione portava più consenso rispetto alla prudenza che avrebbe richiesto il caso in attesa degli esiti delle indagini. Ora la missione impossibile è congelata dallo stop al governo Conte, ma questa è un'altra storia.
Eppure, neanche una settimana fa l'ultimo affondo del vicepremier, Luigi Di Maio aveva rievocato la cancellazione anticipata della concessione affidata ai Benetton. Di Maio sperava anche di avviare ufficialmente l'iter di revoca entro la data del 14 agosto in occasione della commemorazione delle 43 vittime del ponte Morandi. Dando quindi l'ennesima picconata al titolo Atlantia in Borsa, che già aveva dovuto digerire la definizione di società «decotta» sfuggita al leader dei Cinquestelle, ma anche l'ennesimo pressing su Matteo Salvini, per niente convinto di andare in fondo con la revoca. Anzi, dalle parti della Lega consideravano questa mossa «una follia». Mentre le dichiarazioni ufficiali si limitavano a un approccio laico sulla questione: «Chi sbaglia paga, ma ci sono in ballo migliaia di lavoratori», ripeteva da un po' di tempo lo stesso Salvini pensando anche al destino di Alitalia legato alla newco guidata da Atlantia. E dunque se il governo dei Cinquestelle di fatto non c'è già più, è ora certo che l'avvio del dossier di revoca della concessione non arriverà entro il 14 di agosto. È altrettanto certo che il dossier è quanto meno congelato finché non ci sarà un nuovo governo. Ma c'è chi azzarda anche che il capitolo tanto caro anche al ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, si può considerare di fatto archiviato, almeno finché non torneranno i Cinquestelle al governo. E con questo sono archiviati tutti i rischi calcolati dagli analisti per Atlantia certo. Ma anche il rischio di indennizzo da circa 24 miliardi che peserebbe sullo dello Stato, in caso di una lunga battaglia legale .
È quanto scommette la Borsa che ieri ha premiato i titoli Atlantia con un rialzo del 2,9%. È quanto scommettono gli analisti, che in caso di elezioni ipotizzano un nuovo esecutivo con una presenza ben più di peso della Lega. E c'è chi come il ministro delle Infrastrutture, Toninelli, il primo sponsor della revoca, si è affrettato nelle ultime ore a scrivere su Facebook che «se non revocheremo la concessione ad Aspi, sarà solo colpa di Salvini».
Va ricordato che in questo anno di continue minacce da parte degli M5S, l'iter di revoca della concessione non è mai stato avviato. Tecnicamente, doveva essere un decreto interministeriale, tra il Mit e il Mef, a farlo. Ma neanche quello sarebbe bastato, prima di una sentenza della Cassazione, a strappare la concessione ad Autostrade.
GLI EFFETTI
Secondo alcuni analisti, la revoca può costare allo Stato un indennizzo alla concessionaria intorno ai 24,5-25 miliardi, il valore dei flussi di cassa calcolati da oggi al 2038 (cioè alla scadenza naturale del contratto, prorogata al 2042), decurtati di una penale del 10%. Praticamente una mini-manovra. Gli stessi tecnici incaricati dal Mit nella relazione del 2 luglio, pur riconoscendo tutti i presupposti della revoca, compresa la mancata manutenzione, suggeriscono una strada alternativa. Perchè al termine di una pesante battaglia legale, oltre al mantenimento della convenzione per Aspi, potrebbe scattare il risarcimento da parte dello Stato, comprensivo anche di quello reputazionale.Poi ci sarebbero i maggiori oneri legati a una variazione del rating Atlantia-Aspi. Senza contare che anche in caso di stop alla convenzione, Aspi potrebbe reclamare un indennizzo «particolarmente elevato» in base all'articolo 9bis della convenzione. Un indennizzo non dovuto, a parere dei giuristi. Ma il rischio rimane per le casse dello Stato, dice la relazione. Di qui la conclusione dei giuristi che almeno dal punto di vista tecnico è «consigliabile una soluzione negoziale». Il resto sono «valutazioni politiche» dice lo stesso documento. Valutazioni che a questo punto, spetteranno al nuovo esecutivo.
Dunque, potrebbe essere già pronto il nuovo Ponte Morandi, quando si riparlerà del dossier nel 2020. Nel frattempo, tra i dossier congelati, c'è anche quello della revisione delle tariffe messo in cantiere dopo il crollo del Ponte Morandi per rivedere un sistema tariffario che consente remunerazioni elevate degli investimenti. La strada imboccata dall'Autorità di regolazione dei trasporti non è gradita alle concessionarie. Che puntano il dito su «misure mai applicate» in altri Paesi, che rischiano impatti molto negativi, sulla collettività», compreso «l'aumento dei pedaggi». Un altro tavolo per chi verrà dopo Giuseppe Conte.