Data: 07/04/2006
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Economist in copertina dice "Basta" a Berlusconi

Al tredicesimo piano del palazzo dell' Economist è l'ora della corsa alla chiusura del numero. Sulla scrivania di John Micklethwait c'è già la copertina dell'edizione europea. Ne mancano altre due, quella per l'Asia e quella per gli Stati Uniti, dove il giornale vende 500 mila copie, poco meno della metà del totale. Per il nuovo direttore, in carica da una settimana, è la prima prova. Non è neanche un po' nervoso. Nei vent'anni passati a lavorare per la «bibbia del libero mercato» nessuno ricorda «di averlo mai visto perdere calma e cordialità».
E certo non ha paura di scegliere. Il titolo di copertina non è un understatement : «Basta, per l'Italia è l'ora di licenziare Berlusconi». Chi ha deciso di mettere «Basta» in italiano? Micklethwait sorride verso John Peet, capo per l'Europa, che è appena tornato da Roma e Milano. «La parola l'ho suggerita io, l'ho sentita frequentando qualche ristorante italiano... naturalmente ho chiesto a John se andava bene e abbiamo discusso se fosse più corretto metterci un punto esclamativo».
John Peet ha scritto l'editoriale e l'articolo della sezione speciale dedicata alle elezioni. Perché Basta? «Perché ai due motivi per i quali nel 2001 avevamo detto che Berlusconi era inadeguato - conflitto d'interessi e palude di casi giudiziari - se n'è aggiunto un altro in questi cinque anni di governo. Un motivo nuovo e più devastante: i suoi risultati da primo ministro. Chi lo votò sperava che avrebbe usato la sua abilità di businessman per riformare l'economia. L'Italia ora ha tra le grandi economie europee il record negativo di crescita, ha perso competitività. È vero che i suoi problemi sono simili a quelli della maggior parte dell'Europa e che dappertutto servono riforme profonde, dure. Ma il punto è che il governo di centro-destra non ha neanche avviato il processo. La nostra conclusione è che Berlusconi come riformatore ha fallito».
Il titolo del servizio all'interno, la storia principale sull' Economist di oggi, è un altro pugno nello stomaco: «Una triste storia italiana». Il sommario spiega perché: «I disillusi elettori possono anche disfarsi della coalizione di centro-destra, ma un governo guidato da Romano Prodi potrebbe essere di poco migliore». C'è un riquadro con colpo da ko alla fiducia: «Il paradiso dei gerontocrati», che si riferisce all'«età pensionabile» dei due contendenti. Direttore, non vi convince nemmeno il professor Prodi? «Berlusconi è unfit (inadeguato). Noi appoggiamo Prodi con qualche esitazione, perché è vero che è più vicino al modo di pensare dell' Economist , ma ha un problema molto serio: dipende da una coalizione di piccoli partiti tra i quali i comunisti non riformati, contrari alla liberalizzazione del mercato e alle privatizzazioni». Per di più, spiega l'editoriale, «molti italiani non riconoscono quanto sia malata la loro economia».
Con queste premesse l'Italia rischia di sprofondare come fece l'Argentina? «Penso che la gente in Italia abbia un livello di vita che conta sul passato, non sul presente, proprio come succedeva agli inglesi negli anni Sessanta e Settanta. Però non siamo noi a citare l'Argentina, l'esempio l'ho sentito fare da diversi amici italiani. E questo è un segno di comprensione della gravità del rischio».
Micklethwait, 43 anni, è stato capo dell'ufficio dell' Economist a Los Angeles e New York prima di tornare a Londra. Che idee hanno gli americani di Berlusconi e Prodi? «Su Berlusconi ci sono due visioni: uno dei migliori alleati, con Blair. Ma anche la percezione che si tratti di un personaggio capace di fare errori come quello di parlare di "crociate"». E Prodi? «Conoscono il suo disegno di costruzione europea, e questo per gli Stati Uniti è un problema. Ma non lo temono, lo conoscono bene e non lo ritengono un possibile traditore dell'alleanza. Non lo immaginano come uno Schröder o un Villepin».
Micklethwait saluta. È un uomo rilassato, ma ha preso il timone di un transatlantico dell'informazione che oggi si aspetta di vendere non meno di un milione e centomila copie nel mondo. Le altre due copertine? «Per l'Asia il caso thailandese e per Usa e Gran Bretagna il soft paternalism dei governi, un tema di cui si parlerà molto».

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