Data: 08/07/2007
Testata giornalistica: La Repubblica
Quando il sindacato si accordò con Maroni di Eugenio Scalfari

SE fosse soltanto la classe politica ad essersi trasformata in una casta la situazione sarebbe molto più chiara. Non dico più facile da risolvere, ma più chiara certamente sì e si potrebbe metter mano agli strumenti capaci di liquidarla.

Il guaio è che l'intera società si è trasformata in un sistema di caste che si guardano reciprocamente in cagnesco. Nessuna di loro è portatrice d'una visione del bene comune; nessuna del resto tenta di camuffarsi. Si direbbe che ciascuna sia orgogliosa di mostrare la propria natura castale e la propria capacità di tutelare i suoi interessi. Volete qualche esempio?

Comincerò dai sindacati confederali che, fino a pochi anni fa, si facevano un vanto (ampiamente giustificato) di darsi carico dell'interesse nazionale ritenendo che fosse questo il modo migliore per tutelare al tempo stesso gli interessi dei propri associati: lavoratori dipendenti e pensionati.

La concertazione fu lo strumento di quella politica. La moderazione sindacale consentì di battere l'inflazione che era l'imposta più terribile sul potere d'acquisto dei percettori di redditi fissi, la schiacciante maggioranza della popolazione.

Questo metodo è stato di fatto abbandonato. Soltanto una sottilissima carta velina distingue ormai i sindacati nazionali da una corporazione nazionale e da una "lobby" nazionale. In più punti quella carta velina è stata lacerata e la metamorfosi del sindacato in corporazione si è quasi compiuta. Da questo punto di vista Epifani si è assunto una pesantissima responsabilità, essendo lui esponente del sindacato più forte.

Epifani un'attenuante ce l'ha: il comportamento della sinistra radicale e in particolare di Rifondazione comunista che ne costituisce il nucleo portante. Quel partito in parte fa da sponda e in parte è una palla al piede dei sindacati. Comunque funge da alibi. Vuole difendere a tutti i costi l'attuale età pensionabile. Rifiuta lo scalino dei 58 anni, rifiuta le quote, rifiuta in blocco la politica del governo e gli obblighi che lo Stato ha assunto nei confronti dell'Europa. Basta leggere l'intervista data venerdì scorso dal presidente della Camera al nostro giornale per avere la conferma di questa posizione.

Eppure sia Epifani sia Bertinotti dovrebbero ricordare le seguenti circostanze:
1. I sindacati concordarono con l'allora ministro del Lavoro, Maroni, che la legge istitutiva del famoso scalone che portava in un colpo solo l'età pensionabile da 57 a 60 anni, avrebbe avuto il loro accordo alla condizione che la sua entrata in vigore fosse stata posticipata di tre anni. Epifani ricorda certamente quel patto. Infatti la legge Maroni, approvata dal Parlamento nel 2004, entrerà in vigore soltanto il primo gennaio del 2008.

2. Quanto a Bertinotti e a quelli che si aggrappano al programma elettorale del centrosinistra reclamando l'abolizione dello scalone "senza se e senza ma", la memoria (e il testo di quelle 281 pagine) dovrebbe ricordargli che lo scalone, una volta abolito, "sarà sostituito da provvedimenti che in tempi graduali facciano fronte all'aumento demografico della popolazione, ferma restando la compatibilità con l'equilibrio del bilancio". Il "senza se e senza ma" non figura affatto nel programma elettorale ed è invece circondato da alcune condizioni che Prodi e Padoa-Schioppa stanno cercando ormai da sette mesi senza riuscire ad ottenere il gradimento della "lobby" sindacale e politica che ha perso la memoria di quanto aveva pattuito con Maroni nel 2004 e con tutti i partiti del centrosinistra nella stesura del programma del 2006.

3. Sia i sindacati che la sinistra politica hanno anche perso la memoria di uno dei punti essenziali della legge Dini sulle pensioni, che prevedeva la revisione dei coefficienti salario-pensione, da effettuarsi dopo dieci anni dall'entrata in vigore della legge. Fu approvata nel 1995 e quindi i coefficienti andavano rivisti nel 2005. Ma i sindacati ottennero dal solito Maroni di rinviare la revisione al 2006. Arrivata la scadenza, i sindacati hanno voluto un altro rinvio e comunque la revisione dei criteri di applicazione dei coefficienti. È stata insediata una commissione che deciderà entro l'anno in corso.

Osservo che tra i sindacati e il ministro leghista del Lavoro si era di fatto stabilito un clima di collaborazione molto intensa per spostare sia l'esame dei coefficienti sia l'innalzamento dell'età pensionabile a dopo le elezioni del 2006. Un collateralismo molto inquietante che induce a sospettare sulla buona fede dell'allora ministro, del governo del quale faceva parte e dei sindacati confederali.

Prodi e Padoa-Schioppa (l'ho già ricordato) hanno finora cercato di contemperare la forza corporativa dei sindacati e della sinistra politica con la necessità di procedere ad una riforma del sistema previdenziale che lo ponga su basi sostenibili. Sette mesi sono passati dal protocollo firmato dalle parti sociali e dal ministro dell'Economia il 31 dicembre del 2006. A noi sembra impossibile che questa "soap opera" possa continuare fino alla fine del prossimo settembre. E sembra impossibile che possa essere risolta solo con gli incentivi per chi decida di restare a lavoro anche dopo aver compiuto 58 anni (o 57?)

Gli incentivi vengono dati a tutti quelli che compiono l'età attualmente vigente per andare in pensione; anche a quelli che avessero già deciso di restare comunque a lavoro. Si tratta in tutto di 130 mila persone. Per di più Bertinotti è deciso a schierare il suo partito contro il governo di cui fa parte se per tutti gli operai non sarà prevista l'esenzione dall'aumento dell'età pensionabile; clausola inutilmente demagogica, visto che chi accetta l'incentivo dimostra con ciò stesso senza possibilità di dubbio di non considerare usurante il proprio lavoro.

Se gli incentivi non dovessero funzionare, nel 2010 l'età pensionabile sarebbe portata a 60 anni. Di fatto, dopo il rinvio di tre anni fa concordato con Maroni si chiedono ora altri tre anni di tempo. È credibile un sindacato che non rispetta le scadenze? Sarebbe credibile un governo già notevolmente usurato che presti fede ad un interlocutore non più affidabile?
Noi crediamo che per il governo sia arrivata l'ora della decisione. Prodi ha fatto sapere ieri che - avendo ormai ascoltato e riascoltato il parere di tutti gli interessati - nei prossimi giorni farà una proposta.

Mi lasci dire, signor presidente del Consiglio, che la parola "proposta" non si addice alla situazione che si è creata. È auspicabile che lei manifesti la sua soluzione e la presenti al Consiglio dei ministri come una decisione sulla quale porre la fiducia al Consiglio stesso dove - pur auspicando l'unanimità - le sarà sufficiente la maggioranza. Se i dissenzienti vorranno provocare la crisi sarà loro la responsabilità. Per la seconda volta toccherebbe dunque a Rifondazione consumare una sorta di "parricidio" politico con la differenza rispetto al 1998 che allora Rifondazione non faceva parte della maggioranza ma aveva solo pattuito un appoggio esterno, mentre ora è parte integrante del governo.

Il presidente della Camera lascia intendere che non ha altra strada, non vuole neppure sentir parlare di diversità di interessi tra giovani e anziani, il suo problema è che non scompaia la sinistra antagonista.
Somiglia a Storace (mi scusi per il paragone) che non vuole la scomparsa della destra. Quanto al conflitto previdenziale tra giovani e anziani, esso è un dato di fatto, le cifre stanno a dimostrarlo e la percezione degli interessati anche. Allora di che cosa parla, onorevole Bertinotti?

Lei di solito è bravissimo a buttare la palla in tribuna parlando di questioni storiche e culturali per dire a nuora perché suocera intenda. Ma questa volta nell'intervista sopra citata lei ha detto pane al pane e vino al vino. Ne dobbiamo dunque dedurre che se il suo partito, da lei incoraggiato, dovesse mettere il governo in crisi, lei lascerebbe contestualmente il suo incarico istituzionale? Sarebbe il minimo che lei possa fare in simili circostanze.

Questa delle pensioni non è però la sola questione che agita le varie e contrapposte "caste" o "corporazioni" o "lobbies" che dir si voglia. Ce ne sono a dozzine e nell'impossibilità di approfondirle tutte mi limiterò ora ad indicarne alcune.

C'è la questione (gravissima) delle intercettazioni disposte illegalmente dal Sismi di Pollari e di Pio Pompa ai danni di magistrati, uomini politici, giornalisti in odore di centrosinistra. Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato all'unanimità un documento che denuncia la "persecuzione" contro i magistrati. Non è una sentenza ma una denuncia a tutela della magistratura e come tale rientra in pieno nelle competenze del Csm. Chi ignora o finge di ignorare questo punto fa opera grave di disinformazione.
Una seconda questione è quella dell'ordine del giorno di sfiducia che il centrodestra preannuncia contro il viceministro Vincenzo Visco. L'ordine del giorno non si riferisce all'avviso di garanzia che Visco ha ricevuto dalla procura di Roma ma, su consiglio dell'onorevole Casini, mette sotto accusa la politica fiscale "ispirata e messa in atto da Visco" come recita il documento redatto dall'onorevole D'Onofrio.

Il presidente del Senato non ha certo bisogno dei nostri consigli in materia ma ricordiamo ai nostri lettori: 1) la sfiducia personale può essere proposta contro i ministri. Nei confronti dei sottosegretari o viceministri non è contemplata dalla legge né dai regolamenti parlamentari. 2) Se poi l'accusa riguarda la politica fiscale il responsabile è il governo nella sua interezza e il presidente del Consiglio che costituzionalmente lo rappresenta. Formulare un ordine del giorno che accusa un viceministro per la politica fiscale del governo è un documento irricevibile e non può esser messo in votazione. È singolare che l'abbia suggerito Casini, che è stato per cinque anni presidente della Camera.

Terza questione: i bastoni tra le ruote di Veltroni. Ce n'è una catasta. C'è chi lo spinge a "entrare nel merito". Ma da due settimane Veltroni non fa altro. Che cosa vogliono in realtà gli autopromossi suggeritori? Che proponga leggi articolate in commi? Che intervenga sui fatti del giorno? Che rubi il mestiere al presidente del Consiglio?
C'è chi spinge affinché si candidino altri esponenti del centrosinistra contro di lui. Anche se i loro programmi non siano alternativi ai suoi. E così un Bersani dia fiducia e faccia la conta dell'orgoglio diessino, un Letta lo faccia per l'orgoglio margheritino, una Bindi per l'orgoglio dei cattolici, un Rutelli per l'orgoglio di Rutelli e un Parisi lo faccia non si sa perché.
Che senso ha tutto questo? Nessuno, salvo quello di tagliare l'erba sotto i piedi di Veltroni.

Gli stessi che sospingono queste candidature alternative si dichiarano invece contrari a liste di sostegno a Veltroni. Vorrebbero che il sindaco di Roma affrontasse la competizione con gli altri alzando la bandiera del Partito democratico che ancora non c'è.
Chi favorisce questo bailamme vuole in realtà lanciare bastoni tra le ruote del convoglio veltroniano ed ecco un altro bell'esempio di lobbismo mediatico per impedire che il Partito democratico nasca.

C'è infine la questione finale: quella della legge elettorale. Ezio Mauro ha scritto venerdì scorso prendendo posizione in favore del referendum. Speravamo - scrive il nostro direttore - che il Parlamento varasse ed approvasse una nuova e buona legge che abolendo la "porcata" di Calderoli recuperasse governabilità, rappresentatività, diritto degli elettori a indicare i candidati preferiti.

Così non è avvenuto e non si sa se avverrà. Ci sembra dunque opportuno che le firme necessarie per la presentazione dei quesiti referendari siano raccolte (mancano pochi giorni alla scadenza del termine) e lo siano in larga misura. Sarà uno stimolo al Parlamento, almeno così si spera, affinché legiferi nel solco dei quesiti referendari come la legge prescrive.

Alcuni membri del governo, tra i quali soprattutto Mastella, minacciano dimissioni come se il governo possa impedire le procedure referendarie. È strano che il ministro della Giustizia ignori in questo caso leggi e procedure. O meglio: è ancora una volta una visione lobbistica della politica. Non va bene, onorevole Mastella. Non va affatto bene. Forse lei non se accorge, ma lo spettacolo che troppo spesso lei dà di sé è per noi molto avvilente. Lo eviti. Per favore.

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