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Pescara, 25/07/2024
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Data: 20/01/2017
Testata giornalistica: Il Centro
allegato: LEGGI L'ARTICOLO
«Aiutateci, vogliamo andare via». Ma nessuno ha raccolto l’appello. La procura ha aperto un fascicolo contro ignoti per disastro e omicidio colposo plurimo. Nel mirino le negligenze nei soccorsi: già da martedì era stato chiesto di liberare la strada

FARINDOLA Se ne volevano andare. Dopo la terza scossa di terremoto di mercoledì, gli ospiti e i dipendenti del resort Gran Sasso, 36 persone in tutto tra cui tre bambini, non si sentivano più sicuri nell’hotel circondato da tre metri di neve. E da quanto emerge dalle testimonianze dei parenti e degli amici che martedì sono stati contattati dall’interno della struttura, tutti insieme su consiglio dello stesso gestore Roberto Del Rosso, avevano preso la decisione di lasciare l’albergo. Ma come? È questo il punto. «L’ultima volta ho sentito mia figlia verso le quattro», ha raccontato ieri Nicola Colangeli, il papà della responsabile della spa Marinella, «un solo messaggio, perché i telefoni non funzionavano. Dalla mattina avevano chiesto di essere sbloccati dalla turbina, ma gli hanno risposto che c’erano altre priorità e hanno abbandonato a pulire su». Ma aggiunge pure che la figlia non era preoccupata, «perché lassù è tranquillo. Era una posizione in cui non si poteva pensare che una valanga potesse colpire l’albergo. Avevano chiesto di essere liberati dopo il terremoto, perché lassù è stato forte e giustamente hanno chiesto aiuto, hanno chiesto di scendere. Ma c’erano tre metri di neve, come scendevano?». «Voglio tornare a casa», scrive una dipendente a un amico inviandogli la foto dell’albergo isolato. E poi, un’ora dopo, quell’enorme lingua di neve che investe e travolge tutto. Una condanna a morte frutto probabilmente di una non adeguata gestione dell’emergenza che tra maltempo e terremoto mercoledì mattina non ha consentito a chi di dovere di pensare anche alle 36 persone praticamente isolate in quell’albergo a 4 stelle. Anche se dal giorno prima dall’albergo avevano richiesto i mezzi per liberare la strada. «Siamo in emergenza, non possiamo venire» sarebbe stata la risposta confermata ieri mattina dal presidente della Provincia Antonio Di Marco: «Le nevicate di ieri e l’altro ieri (martedì e mercoledì ndr) in tutta la provincia non ci hanno messo in condizione di intervenire tempestivamente ovunque, non è stata una situazione facile. Ma fino ai giorni precedenti le strade erano pulite». È anche per verificare e accertare i motivi per cui questi soccorsi non sono arrivati, che la Procura di Pescara ha aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio plurimo colposo, pronta a ricostruire, anche attraverso le autopsie, le cause della morte, il luogo e gli ultimi momenti di ognuna delle vittime, anche attraverso la verifica dei telefonini e dei loro ultimi messaggi. Un lavoro molto impegnativo per gli investigatori coordinati dal procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e dal pm Andrea Papalia che già da ieri mattina si sono riuniti con gli altri magistrati della procura. «Il nostro ufficio mette a disposizione tutta la professionalità, tutto il tempo e tutta l’attenzione nella ricostruzione precisa dei fatti che hanno portato a questo evento terribile», assicura Tedeschini, «avendo peraltro registrato l’assoluta disponibilità di tutti i magistrati di questa procura che sin da questa mattina (ieri ndr) si sono presentati tutti dal primo all’ultimo». Ma il lavoro della Procura e degli investigatori dovrà far luce anche sui tempi con cui si è messa in moto la macchina dei soccorsi e soprattutto sulla sua prima gestione, nel corso della notte. Perché quando arriva la telefonata da Silvi che alle 17,40 segnala al 118, ma poi anche a prefettura, carabinieri, polizia e a tutti i numeri dell’emergenza che vengono in mente al datore di lavoro dello chef superstite, gli operatori ci mettono venti minuti a fare tutte le verifiche. E con il coordinatore delle emergenze Emanuele Cherubini sono pronti per partire. E invece non partono. Va avvisato il Coc, alla prefettura di Pescara, e alla fine passa almeno un’ora prima che ognuno per conto proprio, si comincino a muovere ambulanze, vigili del fuoco e carabinieri. Si procede sempre più a rilento lungo la strada verso Farindola fino a quando, a una decina di chilometri dall’albergo di Rigopiano la colonna dei mezzi rallenta dietro la turbina che deve liberare la strada. Si procede a passo d’uomo. Vigili del fuoco, ambulanze, carabinieri, i primi familiari: ma a otto chilometri dal dramma la colonna è costretta a fermarsi. La turbina procede lentissima, 700 metri ogni ora, ma succede anche che per un’ora, data l’ampia mole di rami e detriti che si aggiungono alla neve, deve restare ferma, cedendo il passo ai vigili del fuoco che tagliano e liberano. Arrivano gli sciatori volontari della protezione civile, 4-5 eroi solitari che da soli si avviano verso l’hotel, superano la turbina, un paio di slavine e finalmente intorno alle 8 recuperano in condizioni di assideramento le due persone rimaste fuori dall’hotel. Ma prima che la turbina riesca a sgomberare la strada, la stessa che i 36 dell’albergo chiedevano di percorrere al contrario sono quasi le dieci. E sono passate più di 15 ore dall’allarme.

Distrutto il resort Rigopiano, 30 dispersi. I soccorritori: «Poche speranze». E nella zona c’è il pericolo di nuove slavine, le ricerche a rischio stop. Il procuratore aggiunto Tedeschini: metteremo tutta la professionalità, il tempo e l’attenzione per ricostruire i fatti che hanno portato a questo evento terribile

FARINDOLA Tre morti accertati; 30 dispersi e tra questi, forse, ci sono anche dei bambini; due persone salvate e fuori pericolo. È già una tragedia quella dell’hotel Rigopiano di Farindola. Ma potrebbe diventare una strage. «Con il passare delle ore le speranze di trovare qualcuno in vita si riducono sempre di più», dice il sindaco Ilario Lacchetta. Come una bomba. L’albergo con centro benessere amato dai vip non c’è più. Spazzato via da una valanga che ha avuto l’effetto di un’esplosione. Dopo la slavina di mercoledì scorso alle 17,40, resta davvero poco dell’edificio di 5 piani: le foto scattate dagli elicotteri della polizia e dei vigili del fuoco, mostrano il fabbricato devastato. E poi ci sono le parole di chi ha visto tutto con i propri occhi: «Una buona metà dell’edificio è stato spalmato dalla valanga in una vallata sottostante, l’altra metà è fatta di macerie con sopra la neve», dice l’operatore Luigi Piccirilli del Soccorso alpino abruzzese. «Una roba da non credere, è stato scioccante, mai visto niente del genere. Temo ci siano poche speranze», per Cristian Labanti, operatore del Soccorso alpino dell’Emilia Romagna. Un hotel sbriciolato sotto il peso incredibile di una slavina che, in 300 metri, ha sradicato anche un bosco secolare di faggi, ha distrutto un camping e ha danneggiato il rifugio Tito Acerbo. Da tutto l’Abruzzo. È una tragedia che fa piangere l’Abruzzo e l’Italia: Farindola, paese di origine di quasi tutti gli 8 dipendenti, è sospeso tra l’ansia crescente e le speranze che si affievoliscono. Poi, ci sono gli ospiti dell’albergo, arrivati da Pescara, Chieti, Vasto, Castel Frentano, Loreto, Giulianova, Atri, Bisenti, una coppia di Roma. Per loro, dopo le scosse di terremoto, l’albergo del lusso si è trasformato in una trappola. Bloccati dalla neve. Alcuni degli ospiti avrebbero voluto andare via, ma la neve li ha bloccati: «La neve dei giorni passati è sempre stata tolta entro la giornata. Martedì, quando dopo una nottata di neve fino 1,2 metri, abbiamo liberato la strada alle 13,20 con i mezzi provinciali. Mercoledì non è stato possibile perché la neve ha superato 1,5 metri e c’era bisogno di una turbina. Ci siamo attivati con la Provincia per richiederla immediatamente». Ma, poi, è arrivata la slavina: «È successo per una serie di fatalità, anche per il terremoto, una nevicata storica e un canalone che ha investito l’hotel come un birillo. Questa è la sciagura più grande per il nostro paese». Tra neve e macerie. Si è scavato tra neve e macerie fino a tarda notte a Rigopiano: il bilancio potrebbe aggravarsi. Ma, nella zona, c’è il rischio di un’altra slavina che, complice il rialzo della temperatura, potrebbe abbattersi sui soccorritori al lavoro. All’alba di ieri, infatti, una seconda slavina, di dimensioni ridotte, ha bloccato per ore la strada a circa 4 chilometri dal resort. Un pericolo concreto. E questa mattina, dopo una perlustrazione sugli elicotteri, si deciderà se proseguire con le ricerche o se aspettare. Rischio valanghe. A più di 24 ore dalla tragedia, Rigopiano resta difficile da raggiungere: si arriva all’albergo a oltre 1.200 metri di altitudine solo passando dal centro abitato di Farindola. Ma dalla località Mirri, ultima svolta prima di salire verso i monti Coppi e Siella, ci sono altri 8 chilometri da percorrere. E se già Farindola si trova nell’emergenza con un muro di neve alto quasi due metri e senza corrente elettrica da martedì scorso, ecco che a Rigopiano la neve è diventata un dramma: ci sono punti in cui la neve è alta fino a 5 metri. Una barriera che ha messo alla prova i soccorritori, a partire dagli esperti del Soccorso alpino arrivati da Abruzzo, Molise e Emilia Romagna. Al lavoro ci sono 135 persone tra Soccorso alpino, vigili del fuoco, polizia, carabinieri, forestale, finanza, volontari della Protezione civile. Ieri sera, a Farindola, è arrivato anche il battaglione L’Aquila dell’Esercito.

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